TUTTA LA VERITÀ SULL’OLIO DI PALMA - Studio di Nutrizione e Salute | Dott.ssa Chiara Fantera - Biologa Nutrizionista

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TUTTA LA VERITÀ SULL’OLIO DI PALMA

Le domande più frequenti sull’olio di palma sono queste: “Fa male? Dobbiamo smettere di usarlo? La sua coltivazione è insostenibile per il Pianeta?”. Allora facciamo il punto su uno degli ingredienti più criticati dei nostri cibi industriali.
Si sente dire che fa male. Rovina il nostro sistema cardiocircolatorio. Provoca il diabete. Forse è anche cancerogeno. Le accuse contro l’olio di palma, un grasso vegetale estratto dalle drupe (frutti simili alle olive) di alcune varietà di palme e molto presente nei nostri consumi alimentari, mettono paura. Lo ritroviamo in una lunghissima lista nera di biscotti e merendine del supermercato, nelle farciture dei dolci confezionati e nelle creme spalmabili di cui siamo ghiotti sin da bambini, in quasi tutti i cibi pronti e persino nei prodotti per la prima infanzia.
Non bastasse, sarebbe anche responsabile di una feroce deforestazione a favore della monocoltura intensiva della palma, e metterebbe a repentaglio interi ecosistemi e la sopravvivenza di molte specie animali del Borneo e di Sumatra. Insomma, un vero e proprio killer per la salute e l’ambiente, che a dispetto di tutto è sulla lista degli ingredienti di moltissimi dei marchi sponsor del nostro recente Expo, quello che dovrebbe nutrire il Pianeta.

MA È PROPRIO TUTTO VERO? NON COMPLETAMENTE. IN REALTÀ IL QUADRO DISEGNATO DAGLI SCIENZIATI, ALMENO SU ALCUNI ASPETTI, È DECISAMENTE RIDIMENSIONATO. ECCO QUALCHE PUNTO PER INIZIARE A FARE CHIAREZZA.

PERCHÉ SI USA
Chiunque abbia messo le mani in pasta per preparare una torta se ne sarà reso conto: nella maggior parte delle ricette dei dolci da forno, oltre allo zucchero, è necessario aggiungere una certa quantità di sostanze grasse: olio, burro, a seconda della preparazione. Nel caso dei prodotti da forno, così come nelle creme, i grassi che regalano una miglior struttura e consistenza al prodotto sono i grassi saturi, cioè quelli semisolidi come il burro, molto meno gli oli vegetali, che sono insaturi e liquidi.
L’olio di palma, pur essendo di origine vegetale, rappresenta un’eccezione, poiché ha una composizione in acidi grassi più simile al burro che agli altri grassi vegetali: è infatti composto essenzialmente da grassi saturi (palmitico, stearico e laurico). Di conseguenza ben si presta, per le sue proprietà chimiche, a sostituirlo nelle preparazioni industriali. Perché? Innanzitutto, perché ha un costo nettamente inferiore. In secondo luogo, perché è praticamente insapore, e aggiunto alle preparazioni non ne altera la gradevolezza. Inoltre, rispetto al burro garantisce una conservabilità maggiore dei prodotti, per la sua maggior resistenza alla temperatura e all’irrancidimento.
Il suo ingresso massiccio tra i nostri cibi è avvenuto in seguito all’inasprimento delle normative dell’Organizzazione mondiale della sanità sui grassi idrogenati, come le margarine, una trasformazione degli oli vegetali inizialmente impiegata come ripiego al burro, ma reputata subito nociva su vari fronti della salute. Se ora ci ritroviamo a consumare olio di palma, quindi, è anche per evitare che nei nostri alimenti ci fosse di peggio.

FA MALE?
Dipende da quanto ne consumiamo. Trattandosi di un grasso saturo, va considerato esattamente come tutti gli altri grassi saturi: pensiamo per esempio al burro o allo strutto. “Che queste sostanze vadano consumate in modo limitato nella nostra alimentazione, perché altrimenti fanno ammalare le nostre arterie, è risaputo” ci spiega Laura Rossi, ricercatrice presso il Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione di Roma e delegata italiana per il Consiglio Fao, “ma l’olio di palma non dovrebbe essere demonizzato in quanto tale”.
Significa che sì, è corretta l’osservazione nutrizionale che dice di limitarne il consumo. Quello che però è sbagliato è sostenere che altri grassi, come il burro, non facciano male mentre l’olio di palma sì: “Ciò che è correlato ad un aumento del rischio cardiovascolare non è in questo caso la fonte, ma l’eccesso di grassi saturi, che andrebbero invece tenuti sotto controllo”. In sintesi: non possiamo continuare a pensare che la merendina industriale (fatta con l’olio di palma) sia per forza cattiva, mentre la crostata fatta in casa dalla mamma (col burro) sia per forza buona. Perché, di fatto, sono sia buone quanto cattive entrambe, e con nessuna delle due si dovrebbe eccedere nelle quantità.
Una soglia accettabile? Quella del 10% massimo sul totale delle calorie giornaliere. Una quota che comprende però tutti i grassi saturi, sia quelli di origine vegetale che animale, non solo quelli dell’olio di palma. Perché di fatto, in entrambi i casi, gli effetti sul corpo sono gli stessi.

COLESTEROLO
Se è vero che, a differenza dei grassi di derivazione animale, l’olio di palma non contiene colesterolo, è vero anche che i principali acidi grassi imputati dell’aumento del colesterolo ematico sono proprio quelli saturi, tra cui quello palmitico, il miristico e il laurico, due dei quali sono contenuti nell’olio di palma.
Cosa dice nello specifico la letteratura scientifica? Ciò che emerge finora è un quadro non del tutto definito. Da uno dei lavori più recenti, promosso dall’Istituto Mario Negri (e che consiste nella revisione di 51 studi), è emerso come diete ricche di olio di palma e acido stearico possono aumentare il livello di colesterolo totale più di quanto non accada in diete ricche di altri acidi grassi saturi. Allo stesso tempo, non è stata però registrata una variazione significativa sui valori di colesterolo cattivo (il cosiddetto LDL). Anche se la ricerca sul fronte è ancora aperta.

CANCRO
Sulle accuse di cancerogenicità, invece, non troviamo alcun riscontro nella letteratura scientifica che comprovi la correlazione diretta tra olio di palma e l’induzione di tumori. Fino a prova contraria, quindi, si tratta di accuse infondate, o che confondono l’olio di palma con altre sostanze.
Sappiamo piuttosto che l’obesità, che spesso è sì legata a un consumo eccessivo di grassi saturi, può essere correlata a un aumento nell’incidenza di alcuni tipi di cancro: “Ma qui l’effetto è legato all’obesità, non all’olio di palma in sé” precisa Rossi. E una persona può essere obesa anche se consuma altri tipi di grasso.

DIABETE
Più macchinoso il discorso sul diabete. Solo qualche giorno fa uno studio promosso dalla Società italiana di diabetologia veniva ripreso dai media come un sonoro campanello d’allarme nei confronti dell’olio incriminato. “L’olio di palma può aprire la strada al diabete di tipo 2”, il messaggio lanciato. Anche se, in realtà, la ricerca in questione non lo dimostra.
La notizia riguarda infatti uno studio sperimentale fatto in vitro, dove gli scienziati hanno perfuso cellule di pancreas con del palmitato – che, ricordiamo, non è olio di palma, ma uno dei suoi componenti – e le cellule hanno registrato un danno. “Ma questo non significa assolutamente che mangiare l’olio di palma faccia venire il diabete 2”, chiarisce sempre Rossi, “perché quella situazione sperimentale, anche se fatta molto bene, non può essere assolutamente tradotta in un effetto diretto sull’organismo”. Il discorso sull’alimentazione, insomma, è ben diverso dal prendere una molecola e una cellula e vedere che succede, e non è possibile trasformare in un messaggio sull’uomo ciò che ancora è lontanissimo dall’uomo, come questo test.
In generale, va sottolineato che contro l’olio di palma non si registrano (perlomeno a oggi) posizioni ufficiali da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, del ministero della Salute, né dell’Istituto superiore di sanità: gli organi preposti a vigilare sulla nostra salute.

GLI EFFETTI COLLATERALI SULL’AMBIENTE
Ci sono, e sono innegabili. La coltivazione delle palme da olio, che si concentra nel Sud-Est asiatico (in particolare in Indonesia e Malesia) ha comportato e comporta tutt’oggi un massiccio abbattimento delle foreste tropicali per far spazio alle nuove piantagioni. Le conseguenze si misurano in termini di biodiversità (connessi alla distruzione dell’habitat di numerose specie, tra cui l’orango), ma anche di ripercussioni come l’impennata di gas serra nell’atmosfera e lo stravolgimento dell’assetto idrogeologico del territorio. Ed è forse proprio in ragione del suo forte impatto ambientale che, per dare forza alle campagne contro la sua produzione, si è calcata la mano nel criticarlo dal punto di vista nutrizionale.
C’è però da chiedersi: cosa succederebbe se al posto delle palme, ci trovassimo a dover a spremere lo stesso volume d’olio da altre piante (tutte, peraltro, meno dibattute)? La risposta è che occuperemmo ancora più spazio, poiché la produttività delle palme da olio è altissima rispetto alle alternative possibili. Basti pensare che da un ettaro di palme da olio si ottengono quasi cinque volte l’olio che produce un ettaro coltivato a piante di arachidi, e ben sette volte quello di un ettaro di girasoli (come faceva notare anche Strade in risposta all’approccio semplicistico tenuto da Report in un servizio di qualche sera fa). Senza contare tutte le conseguenze che l’estensione delle colture comporterebbe sui consumi d’acqua, di fertilizzanti, di pesticidi. O se volessimo, come chiedono alcuni, sostituirlo col burro: siamo consapevoli che l’impatto ambientale sarebbe ancora più drastico?
Mettere il problema in prospettiva è purtroppo tutt’altro che semplice e sicuramente per venirne a capo sarà necessario pretendere maggiore trasparenza da parte delle aziende e dal commercio locale. Per ora l’unico, piccolo passo avanti si è compiuto con l’istituzione di regole che, anche se in grosso ritardo, sono indirizzate a tutelare la produzione sostenibile. Come quelle stabilite dalla Roundtable on Sustainable Palm Oil, un organo tenuto a certificare l’olio prodotto (appunto) in modalità più rispettosa dell’ambiente. Uno strumento ancora molto debole e arbitrario, probabilmente a rischio di strumentalizzazione, ma che per ora segna la via più percorribile.
Nel frattempo, va detto che a dispetto degli sforzi del Wwf, Greenpeace, e di iniziative locali, come quella promossa dal Fatto Alimentare (e portata in Parlamento da alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle), che chiede l’abolizione dell’olio di palma dal mercato del cibo, gli enti internazionali deputati al controllo, come la Fao, non si sono (a oggi) ancora espressi negativamente sulla questione, se non spingendo verso un’agricoltura più sostenibile.

UNA STORIA DI DIRITTI VIOLATI
Al di là del dibattito scientifico, possiamo anche decidere di attaccare la produzione dell’olio di palma, e di boicottarlo, anche esclusivamente per motivi etici, in conseguenza alle ripercussioni della monocoltura sulle popolazioni locali. Si racconta di espropriazione dei contadini dalle proprie terre, di deportazione di interi villaggi, di sfruttamento, di totale assenza di condizioni di sicurezza sull’ambiente di lavoro. Una lotta giusta e sacrosanta.
Ma forse un po’ ingenua. Già, perché presuppone che se anziché di palme si trattasse di girasoli, barbabietole, caffè, tabacco o di qualsiasi altro prodotto, il trattamento sarebbe diverso, forse migliore. Come se il rispetto delle leggi e le politiche di non-sfruttamento dipendessero dal prodotto, anziché dalle persone che vi si nascondono dietro.
Dott.ssa Chiara Fantera - Biologa Nutrizionista
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