BERE LATTE E' COSì INNATURALE - Studio di Nutrizione e Salute | Dott.ssa Chiara Fantera - Biologa Nutrizionista

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SPESSO SENTO DIRE: “L’UOMO È L’UNICO MAMMIFERO CHE BEVE LATTE DA ADULTO… NON DOVREBBE FARLO!”.
È VERO CHE BERE LATTE È COSÌ “INNATURALE”? FACCIAMO CHIAREZZA.

Sul web mi imbatto spesso in siti “militanti” contro il consumo di latte. Le argomentazioni sono varie e disparate. A mio parere la più debole è “Nessun animale adulto beve latte e neanche l’uomo dovrebbe farlo” a cui è facile rispondere che gli animali adulti non fanno tante altre cose che invece l’uomo fa: ad es. l’uomo è anche l’unica specie che riscalda le proprie abitazioni, coltiva i campi, crea e utilizza vestiti, costruisce acquedotti, innalza grattacieli, ricava olio dalle olive, vola nello spazio, alleva e coccola animali da compagnia, guida automobili, usa il sapone, fa sesso protetto, lava la frutta e la verdura, cuoce il cibo, mangia spaghetti al pomodoro, cotolette alla milanese e tofu, beve vino, tè e caffè. E l’elenco potrebbe proseguire per altre mille righe. Se come parametro per misurare l’adeguatezza di certi comportamenti ci basiamo su ciò che in natura fanno le altre specie animali non andiamo molto lontano, evidentemente.
Peraltro, tornando al latte, il motivo per cui gli animali in ambiente naturale non se ne cibano è semplicissimo: perché non lo trovano. È la totale indisponibilità di questo alimento in natura che fa sì che nessun animale adulto se ne possa nutrire. Provate però a dare del latte vaccino a qualunque mammifero e vedrete che lo berrà eccome, come ben sa chiunque abbia provato ad offrirlo ad un cucciolo di cane o di gatto.
Inoltre, avrete spesso sentito dire: “E perché mai dovremmo bere latte dopo lo svezzamento e per di più quello di un’altra specie? Il latte è fatto per i mammiferi appena nati, non è un alimento adatto ad un adulto, e nemmeno ad un bambino di qualche anno. Gli esseri umani sono gli unici animali che hanno un comportamento così innaturale, che va contro la loro stessa fisiologia. Non per niente, nel mondo tre quarti degli adulti sono intolleranti al lattosio, cioè sono privi dell’enzima (lattasi) necessario ad agire sullo zucchero che si trova nel latte (lattosio); questo impedisce loro di digerire adeguatamente il latte e conduce a malattie del sistema digerente più o meno serie.”
A prima vista l’argomentazione non è insensata: se la maggior parte delle persone non riesce a digerire il lattosio, lo zucchero presente nel latte, forse davvero non è un alimento adatto agli adulti. Che dire però di quella parte dell’umanità che il lattosio lo digerisce e trova piacere nel bere un cappuccino? Per loro lo è? E poi, come mai c’è questa differenza? L’argomento è molto interessante e vale la pena di andare un po’ più a fondo.
Se siete tra quelle persone che ogni mattina possono bere del latte a colazione senza alcun tipo di disturbo intestinale sappiate che state sperimentando direttamente una delle più spettacolari dimostrazioni della teoria di Darwin sulla selezione naturale. È noto almeno sin dal tempo dei romani che gli individui hanno capacità diverse di digerire il latte fresco. Lo zucchero principale contenuto del latte é il lattosio, un disaccaride. Per poter essere sfruttato come fonte di energia il lattosio deve essere scomposto nei due zuccheri semplici di cui è composto: il glucosio e il galattosio. Tutti i mammiferi neonati, compreso l’uomo, possiedono un enzima, la lattasi, che nel duodeno, nell’intestino tenue, svolge questo compito. Alla fine dello svezzamento, quando cambia la dieta, per la maggior parte delle persone la produzione dell’enzima cala e tra i cinque e i dieci anni cessa quasi del tutto (con un meccanismo e per quali ragioni evolutive non ancora ben compresi).
Quando queste persone bevono del latte, il lattosio non digerito passa nel colon dove incontra i batteri che lo metabolizzano e producono acidi grassi e vari gas, tra i quali l’idrogeno. Ed è proprio la produzione di idrogeno, che dall’intestino passa nel sangue e da lì nei polmoni, ad essere sfruttata per il test non invasivo più accurato per verificare l’intolleranza al lattosio: il cosiddetto “breath test”. In più, il lattosio richiama acqua nell’intestino per effetto osmotico generando quindi diarrea, crampi, flatulenza e altri spiacevoli sintomi associati alla cosiddetta “intolleranza al lattosio”. Le persone che da adulte continuano a produrre l’enzima (si parla di persistenza della lattasi) possono invece continuare a bere il cappuccino tutte le mattine senza problemi.
Non necessariamente però chi non produce l’enzima manifesta problemi a consumare latte. È stato mostrato come un consumo giornaliero di lattosio possa a volte selezionare una flora batterica intestinale capace di rimuovere i prodotti della fermentazione ed alleviare quindi i sintomi dell’intolleranza.
Sino a circa 40 anni fa si pensava che tutti gli adulti producessero normalmente la lattasi e si parlava di deficienza della lattasi per chi non era in grado. Ora si sa che è esattamente il contrario e che i primi studi avevano generalizzato una situazione tipicamente europea: solo il 35% degli esseri umani adulti ha la capacità di metabolizzare il lattosio mentre il 65% ne è incapace. In Europa la persistenza della lattasi è la situazione comune con punte dell’89%-96% in Scandinavia e nelle isole Britanniche e percentuali via via più basse andando verso sud, toccando solo il 15% in Sardegna. È interessante anche notare come in quei paesi il consumo di latte fresco sia culturalmente visto come simbolo di un’alimentazione sana e nutriente.
L’avvento del latte animale come alimento per l’uomo è stato reso possibile all’inizio del neolitico, circa 10.000 anni fa, con il passaggio dalla vita spesso nomade del nostro avo cacciatore-raccoglitore alla vita più stanziale basata sull’allevamento e l’agricoltura. In quel periodo pecore, capre e bovini vennero per la prima volta domesticati in Anatolia e nel vicino oriente per poi diffondersi nei millenni successivi nel medio oriente, in Grecia e nei Balcani e successivamente in tutta Europa.
Grazie all’analisi del genoma ora sappiamo che la produzione della lattasi è regolata da un singolo gene sul cromosoma 2. I primi studi effettuati in Europa hanno dimostrato che negli individui “lattasi persistenti” è presente una mutazione genetica che dona la capacità di digerire il latte da adulti. I nostri antenati del Neolitico però non erano ancora in grado di farlo perché la mutazione è apparsa in tempi più recenti. Questo tratto geneticamente dominante è comparso e si è diffuso meno di 10.000 anni fa in alcune popolazioni dedite alla pastorizia solo dopo l’abitudine, culturalmente trasmessa, di nutrirsi con il latte munto.
Allora, bere latte è “innaturale” ?
Prima di tutto parlare di cosa è naturale o innaturale basandoci esclusivamente sul DNA è estremamente riduttivo. Come ricordavo prima ci sono popolazioni che non producono lattasi ma che per qualche motivo pare abbiano evoluto una microflora intestinale in grado di alleviare i disturbi, e quindi il latte è parte integrante della loro dieta giornaliera.
Ma è ancora più assurdo parlare di “innaturalità” del bere latte da adulti considerando che noi che possiamo berlo, perché produciamo la lattasi, siamo stati geneticamente “selezionati” proprio grazie ai vantaggi forniti da questa bevanda. Non c’è proprio nulla che vada contro la nostra “stessa fisiologia”. Se vogliamo è talmente “naturale” che, a differenza dei Cinesi, continuiamo a produrre l’enzima per digerirlo anche da adulti. E in Cina nessuno fa campagne contro l'uso del latte, perchè è perfettamente inutile.
Insomma, smettiamo di brandire i termini “naturale” e “innaturale” come fossero delle clave per chiudere i discorsi invece che approfondirli.
La persistenza della lattasi è probabilmente il miglior esempio di coevoluzione gene-cultura avvenuta nell’uomo in periodi relativamente recenti. La trasmissione, per via culturale, della tradizione di usare il latte come alimento ha creato una forte pressione selettiva che ha selezionato quelle mutazioni genetiche che rendevano possibile il consumo di latte fresco, cosa che a sua volta ha rafforzato la tradizione e la cultura dell’uso del latte.
Darwin sarebbe stato deliziato da queste scoperte e chissà, forse avrebbe brindato con un bicchiere di latte.
Parlando delle proprietà nutrizionali, il latte rimane uno degli alimenti più completi e nutrienti, in quanto costituisce una buona fonte di proteine ad alto valore biologico, vitamine e minerali specifici. In particolare, esistono numerosi studi scientifici che dimostrano il ruolo del latte per la salute delle ossa, grazie all’apporto di calcio in esso contenuto. Se è vero che il latte e i suoi derivati non sono l’unica fonte di calcio della dieta, è pur vero che in essi sono presenti le condizioni ottimali per il suo assorbimento. Esistono numerose referenze bibliografiche che attribuiscono ai latticini un ruolo privilegiato nell’assicurare il corretto apporto di calcio, sia in termini di assorbimento, che di costo calorico, che di prezzo, che di salute dell’osso. Nella dieta degli italiani ad esempio, che sono al di sotto dei livelli necessari alla copertura del fabbisogno di calcio, i latticini forniscono più del 50% dell’apporto. Proviamo solo ad immaginare la difficoltà nel reperire sufficiente calcio da altre fonti.
Quindi concludendo, possiamo affermare che bere latte è naturalissimo e soprattutto consigliato non solo in fase di crescita, ma anche da adulti, cercando di preferire latte di qualità, magari del caseificio locale di fiducia. E per chi è intollerante al lattosio, può consumare latte delattosato e formaggi privi di lattosio, ormai presenti facilmente in commercio.
E se alcuni sostengono che non è vero, bere latte è infinitamente più naturale che bere una “naturalissima” bevanda a base di soia o di riso, magari con aggiunta di calcio; costruita in laboratorio partendo da idrolisati proteici, vitamine aggiunte e un pizzico di additivi di vario tipo, per cercare di imitare, senza successo, quel che la natura ci mette a disposizione ogni giorno: il latte.

IL CONSUMO DI LATTE NON AUMENTA IL RISCHIO DI TUMORI DI NESSUN TIPO.
Il rapporto del World Cancer Research Fund/American Institute for Cancer Research, che è il più aggiornato e completo documento di consenso della comunità scientifica mondiale su alimentazione e rischio di cancro, non evidenzia alcun legame tra consumo di prodotti lattiero-caseari e cancro dell’ovaio. Più in generale, secondo il rapporto, non esiste nessuna evidenza convincente di associazione tra latticini e cancro, ma solamente alcune probabilità. Il Panel di esperti afferma infatti che i prodotti lattiero-caseari “probabilmente” esercitano un effetto protettivo nel cancro del colon e che altrettanto probabilmente una dieta troppo ricca di calcio (oltre 1500 mg al giorno, pari ad un consumo di 1,25 litri di latte al giorno) sarebbe associata ad aumentato rischio di cancro della prostata. Quindi un probabile (non certo) rischio di cancro alla prostata è descritto solamente per consumi di latte superiori a un litro al giorno, mentre nessun rischio è descritto per i consumi raccomandati di 2-3 porzioni al giorno. A questi livelli c’è invece una probabile protezione. Quindi non solo il latte non risulta coinvolto nel rischio del cancro dell’ovaio, ma è coinvolto nella protezione del cancro del colon, cancro che dopo quello della mammella, è il secondo in Europa in quanto a incidenza. Non è quindi corretto attribuire al latte un certo rischio di cancro, non considerando l’azione esercitata nella protezione.

Dott.ssa Chiara Fantera - Biologa Nutrizionista
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